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QUARTO/ Camorra: clan Polverino, il pentito rivela «Controllavo i consiglieri comunali»

QUARTO/ Camorra: clan Polverino, il pentito rivela «Controllavo i consiglieri comunali»
  • Pubblicato13 Novembre 2015
Roberto Perrone, nel 2011 ha scelto di collaborare con l'Antimafia
Roberto Perrone, nel 2011 ha scelto di collaborare con l’Antimafia

QUARTO – Interi parchi residenziali, fiumi di cemento che sarebbero diventati il grande affare del clan. E poi ancora percentuali, spartizioni dei proventi e della quote. Il tutto a braccetto con facoltosi imprenditori, alcuni dei quali avrebbero anche messo piede nella “stanza dei bottoni”, vale a dire al Comune una volta eletti.

IL PENTITO CHE FA I NOMI –  A far luce sul “sistema” che per anni avrebbe trasformato la cittadina flegrea in una enorme area da edificare è colui che a lungo è stato il ras del clan Polverino per ciò che riguardava gli affari di Quarto: Roberto Perrone, dal 2011 collaboratore di giustizia. Dai verbali dei suoi interrogatori – resi davanti ai magistrati dell’Antimafia nel 2014 ed inseriti nell’ordinanza a carico di diversi esponenti del clan eseguita nel giugno dello scorso anno – emergono particolari ad oggi soltanto ipotizzati su come la malavita avesse praticamente mano libera sull’intero territorio. Perrone racconta di come, dopo la sua scrcerazione del 1997, venne a sapere che Antonio Polverino, zio del boss Giuseppe e attualmente latitante, assieme ad un altro affiliato del clan stessero per «costruire insieme degli immobili siti in un ampio terreno […] sito alla via Santa Maria di Quarto ove infatti sono stati costruiti circa 10 parchi». Perrone va oltre e fa anche il nome di un noto imprenditore edile che nel frattempo era entrato in politica. L’incontro con quest’ultimo sarebbe servito a fare in modo che altre persone entrassero nell’affare. Tra queste uno dei più noti costruttori dell’area flegrea. Non parla per sentito dire, Perrone. Anzi, spiega: «occupandomi anche degli aspetti contabili e finanziari in prima persona ho avuto contezza della circostanza che con riferimento agli immobili costruiti nelle suddette aree».

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IL “CONTROLLO” SUI CONSIGLIERI – Altri grossi affari, poi, sarebbero sempre finiti per passare tra le mani dei Polverino. Anche per opere pubbliche, ma sempre nel campo dell’edilizia. Come ad esempio il Peep, il Piano per l’edilizia economica residenziale. Ed ancora più “grossi” diventano i nomi fatti dal pentito che dice: «Gestivo il consiglio comunale di Quarto attraverso i consiglieri». E via con ben cinque nomi di consiglieri comunali. «Ovviamente le zone inserite nell’ambito del Peep erano dunque soggette alla possibile attività edificatoria – spiega il collaboratore, che poi aggiunge – le aree erano di proprietà di soggetti privati già conosciuti da noi del clan e con i quali venivano stipulate permute ovvero cooperative».

IL “SISTEMA” – Roberto Perrone spiega poi il “sistema” delle quote e di spartizione all’interno del clan per ciò che concerne l’edilizia: «Specifico che nell’ambito degli investimenti edili occorre operare una distinzione ed infatti da una parte bisogna considerare quelle che sono le somme per effettuare gli investimenti finalizzate alle costruzioni ovviamente nei territori dì Marano, Calvìzzano, Quarto, Camaldoli e San Rocco; dall’altra va considerato invece la spartizione degli utili derivanti dagli investimenti immobiliari». Il pentito entra nei particolari: «La misura della partecipazione del clan Polverino a tutte le costruzioni effettuate[…]era fissata al 50 per cento intendendo che la metà dell’investimento era finanziata con i soldi dei Polverino che in questa veste agivano come veri e propri imprenditori, finanziatori del lavoro. E’ del tutto evidentemente quindi che ad opere realizzate, la somma ricavata dalle vendite degli stessi andava poi divisa al 50 per cento[…] Va precisato che in base agli accordi intervenuti all’interno del clan era stabilito che sulle costruzioni una percentuale, una quota all’incirca pari a 5-7mila euro ad appartamento dovesse essere corrisposta alle casse del clan indipendentemente di chi finanziava il relativo investimento. La ragione di questo accordo nasce dalla necessità per il clan di veder far fronte quotidianamente ad una serie di spese (assistenza legale degli associati, assistenza ai familiari dei detenuti, stipendi agli affiliati etc) e dalla circostanza che nei Comuni a cui ho fatto riferimento il monopolio delle costruzioni era in mano esclusivamente agli imprenditori del clan».