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Bradisismo a Pozzuoli, il nuovo studio su 20 anni di attività sismica

Bradisismo a Pozzuoli, il nuovo studio su 20 anni di attività sismica
  • Pubblicato29 Dicembre 2022

POZZUOLI – Nel periodo 2000-2020 sono stati riconosciuti e misurati, attraverso i dati acquisiti dal Sistema di Posizionamento Globale (GPS) e dalla rete sismica, due andamenti sovrapposti del sollevamento del suolo e della sismicità nell’area dei Campi Flegrei: una accelerazione su scala decennale e oscillazioni periodiche. Questi i risultati dello studio “Data analysis of the unsteadily accelerating GPS and seismic records at Campi Flegrei caldera from 2000 to 2020”, recentemente pubblicato sulla rivista ‘Scientific Reports’ di Nature condotto da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), della Scuola Normale Superiore di Pisa e delle Università di Buffalo, Tufts e Penn State (USA). La caldera dei Campi Flegrei è interessata, fin dagli anni ‘50, da significativi movimenti del suolo, fra cui il lento sollevamento tuttora in corso da quasi vent’anni. Questo fenomeno è chiamato bradisismo ed è caratterizzato da una sequenza di episodi di deformazione accompagnati da incrementi nell’attività sismica. L’obiettivo dello studio è stato quello di comprendere la rapidità del fenomeno bradisismico e la sua possibile evoluzione. Inoltre, gli scienziati hanno indagato la presenza di fenomeni di periodicità negli episodi di deformazione del suolo e della sismicità più intensa. A tal fine i ricercatori hanno analizzato matematicamente la velocità e l’accelerazione del sollevamento del suolo della caldera, il numero degli eventi sismici e la loro energia cumulativa anche comparando i dati registrati nel periodo 1983-2000 con quelli registrati nel periodo 2000-2020. Questa analisi ha permesso il riconoscimento di due andamenti temporali sovrapposti: una accelerazione su scala decennale e oscillazioni ricorrenti di varia frequenza.

LE RICERCHE – «Le nostre analisi –  spiega Flora Giudicepietro, ricercatrice dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV e coautrice dello studio, “mostrano un aumento della velocità del sollevamento del suolo e un aumento della frequenza di accadimento dei terremoti a partire dal 2005. Il 90-97% del loro incremento è stato registrato dopo il 2011 e il 40-80% dopo il 2018. Il sollevamento del suolo sta tuttora proseguendo e nel mese di ottobre 2022 presso la stazione del Rione Terra di Pozzuoli lo spostamento verticale rispetto ai valori registrati nel 2005 ha raggiunto circa 100 cm, così come riportato nei Bollettini periodicamente emessi dall’Osservatorio Vesuviano». Un ulteriore risultato dello studio ha riguardato i tempi di ricorrenza delle oscillazioni periodiche dei segnali. «Le velocità registrate presentano oscillazioni coerenti fra i segnali di sollevamento e il numero degli eventi sismici», spiega Andrea Bevilacqua, ricercatore della Sezione di Pisa dell’INGV e primo autore dello studio. «Abbiamo osservato sette principali picchi di oscillazione a partire dal 2000, uno ogni 2,8-3,5 anni circa, con oscillazioni secondarie circa a metà di questi intervalli. Dai segnali si è individuato anche un ciclo di periodo più lungo, pari a 6,5-9 anni». Lo studio di dettaglio dell’accelerazione su scala decennale ha permesso anche stime ulteriori. «Per poter stimare le proprietà dell’accelerazione su scala decennale, abbiamo applicato un modello rappresentativo della dinamica che conduce alla rottura nei materiali elastici fragili sottoposti a uno sforzo costante», continua Andrea Bevilacqua. «Questo ci ha permesso di calcolare dei tempi limite teorici per questa accelerazione, potenzialmente rappresentativi di uno stato critico del sistema, nell’ordine di 10 o 20 anni a seconda che si considerino rispettivamente i dati dell’attività sismica o quelli di deformazione del suolo. È importante sottolineare che il modello è valido nell’ipotesi che gli andamenti osservati negli ultimi due decenni proseguano in futuro nello stesso modo». «La stima dell’accelerazione decennale registrata dal 2005», conclude Augusto Neri, ricercatore dell’INGV e coautore dello studio.