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Un’eredità di terra e memoria: dal cuore di Monte di Procida, una storia da tramandare

Un’eredità di terra e memoria: dal cuore di Monte di Procida, una storia da tramandare
  • Pubblicato11 Maggio 2025

MONTE DI PROCIDA – In un’epoca in cui la memoria storica sembra dissolversi nel vortice del progresso, arriva “Il Segreto del Monte”, un romanzo che è molto più di una semplice narrazione: è un inno alle radici, alla terra, all’identità. Abbiamo incontrato l’autore, Pasquale Mancino, per una chiacchierata profonda su come è nato questo progetto e su ciò che rappresenta per lui e per la comunità di Monte di Procida.

Pasquale, com’è nata l’idea di scrivere “Il Segreto del Monte”?
È nata dal bisogno urgente di non lasciare andare via un patrimonio di storie, emozioni, lotte e valori che hanno costruito l’identità del mio paese. Volevo raccontare la storia dei nostri padri contadini, dei coloni procidani, e di quella relazione speciale tra l’isola di Procida e la terraferma di Monte di Procida. Mi ha sempre colpito il fatto che sia stata l’isola a “colonizzare” la terraferma, un ribaltamento affascinante delle dinamiche storiche comuni. Ma soprattutto volevo trasmettere un messaggio universale: che il vero tesoro non è mai materiale, ma risiede nella memoria, nell’appartenenza, nella continuità con le nostre radici.

Il protagonista, Don Peppìno, è un personaggio immaginario o ispirato a qualcuno di reale?
Don Peppìno è un personaggio di fantasia, ma ispirato molto a mio nonno materno ed incarna molti contadini reali che ho conosciuto crescendo. È un condensato di saggezza popolare, sacrificio e dignità. La sua voce, ruvida e piena d’amore, è quella di tanti anziani che oggi non ci sono più, ma che hanno lasciato un’impronta indelebile nella comunità. In lui ho riversato l’anima di un’intera generazione che, anche senza studiare, conosceva la vita meglio di molti accademici.

Perché ha scelto di raccontare la storia sotto forma di dialogo tra nonno e nipote?
Perché volevo creare un ponte tra le generazioni. Il dialogo tra nonno e nipote è una metafora potente: rappresenta il passaggio di testimone, la trasmissione del sapere orale, l’insegnamento che si fa affetto. Ogni capitolo inizia o si chiude con un frammento di questo dialogo per ricordarci che il sapere non è solo nei libri, ma nei racconti condivisi. Ed è anche un modo per coinvolgere il lettore più giovane, facendolo immedesimare in Vincenzìno che è il nipotino di don Peppìno.

Quanto è stato importante il lavoro di ricerca storica per scrivere questo romanzo?
Fondamentale. Senza la ricerca, questo libro non esisterebbe. Ho consultato archivi, documenti, testimonianze orali e opere storiche, per costruire un contesto autentico. Ogni evento raccontato — dalle lotte per la libertà, alle ribellioni contadine, alle battaglie per la giustizia sociale — è storicamente documentato. La finzione narrativa si intreccia con la realtà per rendere la storia viva e accessibile.

Qual è il messaggio che spera arrivi al lettore alla fine del libro?
Che le nostre radici non sono zavorra, ma ali. Che il progresso è importante, ma non può prescindere dalla memoria. Il vero “segreto del Monte” non è un tesoro nascosto, ma un modo di vivere: il rispetto per la terra, per le tradizioni, per chi ci ha preceduti. È un insegnamento silenzioso, che ci guida anche quando non ce ne rendiamo conto. Spero che ogni lettore, chiusa l’ultima pagina, senta il bisogno di guardarsi intorno e chiedersi: “Io, da dove vengo? E cosa voglio lasciare?”.