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REPORTAGE/ Ecco dove vogliono fare la discarica: l’altra faccia del Castagnaro

REPORTAGE/ Ecco dove vogliono fare la discarica: l’altra faccia del Castagnaro
  • Pubblicato29 Febbraio 2012
L'area del Castagnaro dove sono state individuate le cave

QUARTO/POZZUOLI –  Come un abile scienziato che approfondisce i suoi studi e analizza i suoi soggetti partendo dal mondo macroscopico per giungere il microscopico, allo stesso modo, per conoscere a fondo il Castagnaro (nome originato dalla presenza di numerosi alberi di castagno), bisogna necessariamente prendere atto della zona in cui sorge, delle realtà archeologiche che lo circondano, delle sue origini geologiche e delle vicissitudini storiche ad esso legate. Bisogna dunque, almeno inizialmente, ampliare l’ottica su cui ci si focalizza, ragion per cui non è impossibile non menzionare i Campi Flegrei. Innanzitutto è giusto evidenziare che all’interno del territorio del Parco Regionale dei Campi Flegrei, nato per tutelare la flora e la fauna caratteristiche di queste zone, si trova annesso il Castagnaro e pertanto anche la cava destinata alla discarica.

IL VULCANO –  I Campi Flegrei sono una delle regioni vulcaniche più estese e pericolose del mondo. Ne prova il fatto che come indice di pericolosità competono al corregionale e più famoso Vesuvio. Non c’è dunque da stupirsi se la zona ove si intende creare la discarica sia sul versante settentrionale di un vulcano, oggi denominato Monte Ietto, che è collegato al monte Corvara (dal latino “Iectus” cioè “pietruzza”, è di rimando alla presenza di lapilli nel substrato geologico; presenza confermata dalle numerose cave di lapilli o pomici, oggi dismesse, tra le quali quella destinata alla discarica).  Il vulcano risale tra i 10.500 e gli 8000 anni fa e più precisamente alla fase nota come “post-caldera subaerea antica” o “terza fase” (dalla carta geologica e gravimetrica dei Campi Flegrei). L’intero vulcano sarebbe stato molto più grande se non fosse per il fatto che gli antichi Romani, nell’età repubblicana, si impiegarono in una grande opera d’ingegneria stradale tagliando la montagna in due (oggi conosciuta da tutti come Montagna Spaccata). Sul versante orientale, il taglio creò un piccolo monte conosciuto oggi come Monte Burro o semplicemente Viticella (in entrambi  i casi il nome è derivante dalle viti d’uva ivi coltivate e di colore rosso: in latino infatti “Burrus” significa “rosso”). L’opera fu realizzata al fine di creare il passaggio della “Via Consularis Puteolis Capuam” (oggi Via Campana), arteria della famosa Via Appia, al fine di collegare, secondo il famoso detto “tutte le strade portano a Roma”, la colonia più importante dell’impero, cioè Puteoli, a Capua e di conseguenza a Roma. Per sostenere i costoni della collina “Spaccata” furono alzati degli alti e spessi muri in “opus reticolatum” detti tufelli e tuttora visibili. Le mura a loro volta erano sostenute da enormi archi, poi crollati, atti a svolgere la funzione di contrafforte; sono però tuttora visibili sulla parete occidentale del taglio, dal lato di Quarto, gli innesti di appoggio. C’è da annotare inoltre che il livello stradale romano era molto più basso di quello attuale e, col passare degli anni, soltanto sommerso dagli strati moderni; ragion per cui al di sotto dell’asfalto si trovano tuttora i lastroni del selciato romano.

Un sentiero nella zona del Castagnaro

IL PASSAGGIO DI SAN PAOLO –  Su questo selciato, secondo alcuni studiosi sarebbe transitato san Paolo nella primavera del 61d.C.,insieme all’autore degli atti degli apostoli san Luca. Tradizione vuole invece che qualche anno prima su quella stessa strada sia passato anche San Pietro il quale si sarebbe fermato alle pendici di Viticella per consacrare Celso come primo vescovo di Pozzuoli presso un mausoleo romano, adattato successivamente a cappella rurale. Da questo episodio, non confortato però da notizie certe, avrebbe avuto origine il nome “San Petrillo” col quale sono chiamate la contrada e l’abbandonata cappella ivi tuttora esistenti. Sul versante opposto di Viticella si trova la zona del Castagnaro dove vi è l’imminente intenzione di collocare la discarica di compost fuori specifica (meglio noto come FOS). La zona ricade dal punto di vista politico-amministrativo nel territorio comunale di Pozzuoli, mentre dal punto di vista ambientale, appartiene alla piana di Quarto. Una zona dunque che fa da cerniera tra il mega quartiere popolare di Monterusciello (periferia di Pozzuoli) e la zona meridionale di Quarto. E’ sconcertante dunque come i due comuni, già soffocati ai due estremi dall’ effetto “sandwich”della ex discarica di Pianura (40 anni circa di sversamento) a sud di Quarto e dal depuratore di Licola a nord-ovest di Monterusciello, si trovino ad essere conditi al loro centro da una discarica di tali dimensioni.

STORIA/ARCHEOLOGIA DEL CASTAGNARO –   Negli anni ’80 del 1900 sono stati rinvenuti dal Gruppo Archeologico Napoletano (GAN) alcuni resti ceramici databili all’età del bronzo. Numerosi invece sono i resti da far risalire all’età romana e medioevale. E’ da ricordare che in prossimità della zona, intorno al 342 a.C., secondo alcuni studiosi, si sarebbe combattuta la battaglia (conosciuta come battaglia del Gauro) tra i romani, con al comando Marco Valerio Corvo, e i sanniti. Con la vittoria romana si decretò l’inizio della romanizzazione in Campania. Lungo tutto l’attuale Via Vicinale del Castagnaro, compresa dunque la zona presso la discarica, sono presenti una serie di strutture romane tra le quali: “una serie di tombe, resti di ville rustiche e diversi colombari, molti dei quali si trovano sotto costruzioni moderne” (comunicazione orale della dottoressa Costanza Gialanella, responsabile di zona della sopraintendenza ai beni archeologici). I resti di età medioevale sono invece da far risalire alla presenza, ormai accertata, del Castro di Serra, all’interno del quale si trova la cava destinata alla discarica.

La fiaccolata per dire "No" alla discarica

IL DOCUMENTO STORICO –  Già nel 1119 vi è un documento (primo ed unico) che attesta l’esistenza del Castro di Serra (dal latino “Castrum” cioè “villaggio fortificato” e “Serra” cioè “chiuso”). Il documento è un diploma del principe normanno di Capua e di Aversa, Roberto I (anni del principato: 1107-1120); con questo atto il principe donò al vescovo Donato di Pozzuoli il possesso della chiesa di San Nicola, in suddetto Castro, con tutti i suoi beni consistenti in 109 moggia di terra, più un altro piccolo apprezzamento alle pendici del Monte Burro e altre 9 moggia a Corvara. In cambio il vescovo si impegnava a recarsi in detta chiesa per il rito dell’assoluzione ogni Mercoledì delle Ceneri e ogni Giovedì Santo. L’origine della postazione difensiva del Castro è da far risalire alla seconda metà dell’ottavo secolo fino al 1026 quando tutto il territorio flegreo apparteneva al ducato napoletano. E’ comunque plausibile che il periodo di massima estensione del Castro sia stato durante il periodo della dominazione di Capua, Longobarda e Normanna, su Pozzuoli (tra il 1027 e il 1128). Il documento del principe, oltre alla chiesa dedicata a San Nicola, menziona anche due cisterne una alla Corvara e una vicino alla cappella di San Petrillo.

 IL CASTRO DI SERRA

 La chiesa e l’altare: Sull’estremo orientale della cava dove è destinata la discarica si trova la chiesa di San Nicola, oggi adattata a cellaio. La datazione dell’edificio è di difficile inquadramento in quanto la fabbrica ha subìto varie manomissioni nel corso del tempo ma in più punti si rilevano tracce di strutture romane. L’ambiente si compone di una navata rettangolare separata dal presbiterio, invece a pianta quadrata, e da un arco trionfale con transenne; attigua alla zona presbiteriale si trova un ambiente che probabilmente in passato ha svolto la funzione di sagrestia. Sulla fine del 1900 nei pressi di questo edificio chiesastico fu rinvenuto un blocco di pietra che in principio, probabilmente, ebbe la funzione o di un’ara funeraria o di base per una statua di età romana. In seguito, verso la fine dell’VIII secolo, su esso fu incisa una “fenestrella confessionis” segno che il blocco fu adibito ad altare paleocristiano. All’interno della chiesa è possibile ancora ammirare una bifora che testimonia la funzione chiesastica dell’edificio.

Mulino e torre: Sul versante sud-est della cava destinata alla discarica sono state rinvenute le rovine di un vecchio mulino insistente su resti romani. Esso si compone di una grande piattaforma rettangolare con all’estremo sud una torre cilindrica. In principio, si pensa, che la struttura abbia svolto la funzione di torre di avvistamento. In un secondo momento fu invece adattata a mulino e sulla torre furono installate delle pale eoliche. Sul declivio della collina tra la chiesa e il mulino a vento si rileva la presenza di un grande basamento che fa supporre la presenza di una torre.

Piscine: Sulla parte occidentale della cava destinata alla discarica si trova una delle cisterne più grandi dei Campi Flegrei conosciuta come piscina della Crapiola: lunga 27,50m larga 10m e divisa in due navate. Per la tecnica costruttiva la struttura è databile tra il I sec a.C. e I sec d.C.; la capacità della cisterna è di 1850 metri cubi. L’altra cisterna si trova in località San Petrillo e misura 21,45m x 2,93m e alta 2,90m. Il vecchio Castro di Serra dunque potrebbe acquisire una funzione turistico-culturale, se opportunamente restaurato assieme ai numerosi reperti di età romana esistenti nei suoi immediati dintorni. Dunque, in questi luoghi ricchi di storia e di reperti archeologici ed immerso nel Parco Regionale dei Campi Flegrei che è stato scelto di collocare la discarica.

 PASQUALE IOFFREDO