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QUARTO/ Clan Polverino, condannati i 4 “big”: è la fine di un’era

QUARTO/ Clan Polverino, condannati i 4 “big”: è la fine di un’era
  • Pubblicato15 Aprile 2015

di Alessandro Napolitano

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L’arresto di Nicola Imbriani

QUARTO – Per anni avrebbero operato all’interno del clan Polverino, con ruoli molto diversi tra loro e soprattutto in epoche differenti. Sono i quattro “big” tra i 19 condannati al termine del processo di primo grado celebrato con rito ordinario e conclusosi con quasi quattro secoli di condanne.

LATITANTE TRA GLI AMICI – Tra di loro il noto costruttore edile Nicola Imbriani, detto ‘o barbiere. Secondo l’Antimafia di Napoli sarebbe «legato in maniera particolare al capo clan» e «principalmente utilizzato per riciclare i soldi di Giuseppe Polverino, in costruzioni edilizie». Per i pubblici ministeri della Procura di Napoli, inoltre, il 60enne sarebbe «adoperato dal clan per le sue connivenze con l’ufficio tecnico del comune di Quarto». L’imprenditore riuscì a sfuggire al blitz del 3 maggio del 2011. Da eseguire c’erano 39 ordinanze di custodia cautelare. Ma quando i militari giunsero presso l’abitazione di Imbriani, dell’uomo non ce n’era traccia. Dovettero passare ben otto mesi prima di acciuffarlo. Si nascondeva a Brugine, in provincia di Padova. A fargli “compagnia” altri due quartesi, finiti anch’essi in manette. In pratica era come stare a casa. Uno di loro era addirittura candidato alle elezioni amministrative di quell’anno, nella stessa lista nella quale correva anche Salvatore Camerlingo, cugino di Salvatore Liccardi, condannato a 30 anni poche ore fa.

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Castrese Paragliola

MATRIMONIO FORTUNATO – Storia per alcuni aspetti simile è quella di Castrese Paragliola. Iniziata con un matrimonio a dir poco fortunato, sposando la sorella di Roberto Perrone nel 1983. Di lui dicono i magistrati dell’Antimafia: «pur in mancanza di specifica competenza imprenditoriale nel settore edile e della totale mancanza dei capitali necessari per la costituzione di società, ha potuto operare grazie allo spessore criminale del cognato ed alle ingenti quantità di denaro derivanti dalle illecite attività che questi garantisce».

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Roberto Perrone

TELEFONO ROSSO –  Quella di “Pataniello” è invece una storia molto diversa. Quando iniziò a frequentare il clan, per molto tempo non sarebbe andato oltre l’essere diventato l’autista di Roberto Perrone, almeno fino all’arresto di quest’ultimo. Una detenzione sfruttata dallo stesso Liccardi per scalare velocemente i gradini dell’organizzazione, fino a diventare l’anello di congiunzione tra il boss Giuseppe Polverino e gli affiliati di Quarto. Fu grazie al “telefono rosso” che Pataniello poteva comunicare con il boss latitante in Spagna, attraverso messaggi cifrati. Centinaia quelli poi scoperti dai carabinieri che lo arrestarono nel settembre del 2011, dopo quattro mesi di latitanza. Stava guardando alla tv una partita del Napoli, ma la gioia per un gol degli azzurri venne strozzata in gola dall’irruzione dei carabinieri nel suo “covo”.

IL PENTITO – In pratica, Roberto Perrone lo aveva “cresciuto”, ma poi dovette lasciarlo solo durante la sua detenzione nel carcere dell’Ucciardone, a Palermo. Una volta tornato libero, Perrone si accorse ben presto che nel frattempo le cose erano cambiate. Non era più lui il boss indiscusso e braccio destro di Polverino per gli affari di Quarto. Ma era passato quasi tutto nelle mani di quel giovane, scaltro e pieno di energie. Perrone non avrà molto tempo a disposizione per tornare al potere. Uscito di galera nel 2008, ci ritornerà nel 2011. E’ una banca dati, per anni ha controllato e gestito qualsiasi affare si fosse svolto in città. Politica, malaffare. E’ a conoscenza di tutto, di decenni di storia locale. Ma è anche vero che non ha più tra le mani il suo potere. E soprattutto è di nuovo in carcere. Passeranno pochi mesi e per “Paperone” si profila la possibilità di passare dalla parte dello Stato. Decide di diventare collaboratore di giustizia, di raccontare ogni segreto su appalti, elezioni, spaccio di droga, monopolio del calcestruzzo. Per l’Antimafia di Napoli è un’occasione da non buttare via. E così diventerà una fonte inesauribile di informazioni che porteranno le indagini ad una seria accelerazione. La cui forza propulsiva non si sarebbe ancora esaurita. E chissà a quali altre novità porterà.