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LA POESIA/ Rosso, bianco neve

LA POESIA/ Rosso, bianco neve
  • Pubblicato20 Marzo 2016

IMG-20150218-WA0028Nato a Pozzuoli nel 1977. Io, Rosario Lubrano,
la terra del mito mi scorre nel sangue.
Fiero di essere un terrone, fiero di essere un ribelle, fiero del mio sognare.
Scrivo perché come i bambini non so parlare.
Scrivo dell’amore che ho per la vita, in ogni sua forma.

Rosso
Bianco neve.
Uomo,
scarpe rotte
piedi nel gelo,
faccia al muro
per non guardare
negli occhi la morte.
Il capo chino
aspetta.
È verde.
Non la speranza,
non quella.
Non c’é speranza per lui.
Non può scegliere,
verde è la sua divisa,
lui non pensa,
lui non spera,
lui esegue.
È azzurro,
il cielo sopra
le loro teste
quasi incombe
è uguale
lo stesso,
opprime tutti e due
allo stesso modo,
uno non si sveglierà più
domani all’ alba,
l’altro si odierà
per il resto dei suoi
giorni.
Ricordi
scendono
a rivoli
poi
fiume in piena
solcano
il viso
dell’ uomo contro il muro,
avrebbe voluto
dire
avrebbe voluto
fare
avrebbe voluto
abbracciare
avrebbe voluto
baciare
avrebbe,
ma non potrà
mai più mai.
Nera.
La sorte,
per entrambi.
Nera come
la canna del fucile
che punta la schiena,
ottusamente
fottutamente nera.
Come la morte.
Grigia.
La voce
che squarcia il silenzio,
voce senz’ anima.
Ordina.
Sussultano i cuori,
insieme.
L’uomo con il fucile
si guarda attorno.
Altri come lui
puntano,
mirano.
Chissà…
Chissà se pensano.
L’uomo faccia al muro,
raccoglie tutta la fierezza
di cui è capace,
con la mano sudicia
asciuga il viso,
si gira,
è pronto.
Si incontrano
i loro occhi,
si vedono,
si riconoscono,
sono occhi di bambini
che fanno un cattivo gioco.
Uno sembra dire all’ altro
“non lo farò,amico,non io”.
E l’altro rispondere
“Lo farai,lo sai,devi”.
Dito adunco
trema sul grilletto,
il sudore
cola sulla fronte,
il cuore palpita
come quello
dell’ altro in piedi
è uguale,
è “Rosso”
pensano entrambi.
Hanno paura.
Tutti e due.
È l’ora.
Si alza un braccio,
poi si abbassa.
Il primo colpo
non lo sente arrivare.
Appena sopra la cinta.
Sente liquido
caldo
scendere giù,
“È Rosso” pensa.
Sibila un proiettile
a un niente dall’ orecchio,
incrocia le mani
sulla faccia,
si copre
come un pugile.
Il secondo,
arriva silenzioso,
una puntura d’insetto
nella clavicola,
e
fa male,
indietreggia
barcolla,
mille aghi
si conficcano,
attraversano la carne,
mille spilli di fuoco,
cade in ginocchio,
sembra pregare,
ma dio non c’è,
non c’è mai stato.
L’uomo con il fucile
non ha sparato,
ma lo dovrà fare
lo sa bene
vorrebbe sbagliare
vorrebbe andare a vuoto,
ma l’altro è in ginocchio,
lo supplica,e …
Preme il grilletto.
È l’ultimo sparo,
quello buono,
quello giusto.
Arriva preciso
sulla fronte
disegnando un terzo occhio,
il piombo
rovente
lo attraversa
come una lama nel burro.
Da lì esce la vita.
Vorrebbe ringraziare,
ma non ha tempo,
non basta mai il tempo,
neppure per morire.
È il mondo diventa
viola
poi rosso,
poi si spegne la luce
ed è nero.
Fumo denso
grigio azzurrognolo
sale nel cielo,
l’odore acre
della polvere da sparo
riempie i polmoni.
Un tonfo
sordo
sul bianco
che s’impregna
di Rosso
porpora
vermiglio
cremisi
scarlato,
ma sempre
e comunque
Rosso.