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CAMPI FLEGREI/ Esce il primo identikit del supervulcano

CAMPI FLEGREI/ Esce il primo identikit del supervulcano
  • Pubblicato10 Giugno 2015

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Le scoperte fatte sui Campi Flegrei
CAMPI FLEGREI – Grazie ad una trivellazione nella zona dell’ex Italsider si è potuto ottenere  il primo identikit del supervulcano più pericoloso d’Europa e fra i più temuti del mondo: quello dei Campi Flegrei. Con una perforazione di 500 metri è stato scoperto per esempio che l’area delle bocche del vulcano, la cosiddetta caldera, si estende da Monte di Procida a Posillipo e non comprende tutta Napoli come pensato finora.

ECCO COSA CAUSA IL BRADISISMA – Inoltre i ricercatori hanno compreso meglio quale è il “motore” del bradisismo, che nell’area fa sollevare e abbassare il suolo: «il fenomeno è causato per il 50% dal magma e al 50% dall’acqua nelle rocce – ha spiegato Giuseppe De Natale, direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) – in pratica, il magma sale fino a 5-6 chilometri e riscalda l’acqua che fa gonfiare le rocce provocando il sollevamento del suolo».

TRA I VULCANI PIU’ PERICOLOSI – Il supervulcano dei Campi Flegrei è capace di eruzioni molto violente ma per fortuna molto rare, nel mondo esistono circa dieci vulcani di questo tipo, come per esempio Yellowstone e Long Valley Caldera negli Stati Uniti. Per studiarlo dall’interno, nel 2012 è stata avviata una perforazione nell’ambito del progetto ‘Campi Flegrei Deep Drilling Project’, guidato dall’Ingv e finanziato dal Consorzio internazionale per le perforazioni profonde continentali. Il progetto prevede un primo pozzo pilota di 500 metri già realizzato e un secondo di 3,5 chilometri ancora da realizzare. Nel pozzo pilota è stato installato un osservatorio in profondità con sensori che controllano ogni ‘respiro’ del vulcano: dalla temperatura alla sismicità. «In questo modo – ha sottolineato De Natale – teniamo costantemente sotto controllo il vulcano con l’obiettivo di studiarlo e di mitigare il rischio».

I SEGNALI DI ALLARME – I segnali di allarme che possono aiutare a prevedere una eventuale eruzione  ha rilevato il vulcanologo Mauro Antonio Di Vito – sono temperatura, pressione del sottosuolo e sismicità. Il pozzo è anche una sorta di ‘macchina del tempo’ che ha permesso ricostruire la storia di questo vulcano fino a 45.000 anni fa, rivelando molte sorprese, fra le quali, ha detto De Natale «una eruzione avvenuta 45.000 anni e finora sconosciuta».