POZZUOLI/ Tutto esaurito per “Terramò vol. III”, il grido accorato del Rione Terra

POZZUOLI – Ritorna con sorprendente successo lo spettacolo “Terramò vol. III”, scritto, diretto e interpretato da Pako Ioffredo, affiancato da Demi Licata, Giorgio Pinto e Ingrid Sansone (produzione Cantiere Teatrale Flegreo/Enart – Compagniemia), in scena al Rione Terra fino a domenica 7 settembre. Tutto esaurito per la prima serata, quella di giovedì 4 (ma il sold-out è già annunciato anche per le successive repliche se consideriamo le prenotazioni chiuse), e pubblico rapito in una standing ovation commossa. Una pièce potente e profondamente radicata nel nucleo storico di Pozzuoli, che in modo suggestivo si affaccia sul golfo tra Nisida e Capo Miseno. Uno spettacolo che ha saputo trasformare luoghi carichi di memoria in teatro vivo e pulsante.
MEMORIA, RADICI E RESISTENZA – La narrazione si snoda attraverso storie di personaggi del “popolo del Rione”, in un susseguirsi di emozioni e stati d’animo che spaziano dall’angoscia alla follia, dal tradimento al risentimento, senza tralasciare momenti di comicità irresistibile, frutto di una mimica studiata e di un uso sapiente del dialetto puteolano. Il filo conduttore resta il legame profondo con la terra natia e il senso di appartenenza, che si sfaldano a seguito dello sgombero coatto del 1970 per il paventato rischio bradisismico, un dramma fortemente attuale. Tra i personaggi prende parola anche il sindaco di allora, Gentile, che apprende dell’evacuazione nel corso di una riunione a Roma e che, facendo precipitosamente ritorno, profetizza gli infausti destini del Rione. Ioffredo dà voce a un’umanità vilipesa e ferita – che nondimeno intende, a suo modo, “resistere” anche di fronte all’oblio –, restituendole dignità attraverso un testo curatissimo: un testo in grado di rispolverare stilemi e modi di un dire puteolano imbevuto quasi di un’aura ancestrale. In una messa in scena attenta ai minimi dettagli (con costumi di Antonietta Rendina, cura tecnica e fotografia di Paolo Visone, assistenza alla regia di Francesco Piciocchi), le interpretazioni degli attori, accompagnate dalle struggenti melodie di Pino Ruffo, sono quanto mai intense e appassionate: versatili Ioffredo e Pinto, evocativa la Sansone, padrona della dizione puteolana e vulcanica la Licata. Il pubblico, coinvolto in più ambienti e mai relegato a un ruolo passivo, è chiamato a riflettere su verità disseminate qua e là, tra le follie di una visionaria, vicende di morte e disperazione, e persino nella tirata malevola di un femminiello: verità che vanno meditate e interiorizzate per essere comprese pienamente («chi sono i veri fantasmi – si chiede la visionaria – i morti o vivi dal cuore chiuso?»). Ioffredo, pur proiettato in un orizzonte internazionale, ha, a nostro avviso, l’indubbio merito di tenere viva, con determinazione e coraggio, una tradizione che, senza atti di “ribellione”, rischierebbe altrimenti di scomparire nel silenzio.