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POZZUOLI/ Da promessa del calcio a biologo: la nuova vita di Giovanni, guarito da un tumore aggressivo

POZZUOLI/ Da promessa del calcio a biologo: la nuova vita di Giovanni, guarito da un tumore aggressivo
  • Pubblicato5 Gennaio 2023

POZZUOLI – Quella di Giovanni è una storia di coraggio, forza, testardaggine, e anche di sfrontata incoscienza. Una storia finita bene, dopo mesi di inferno, anni di purgatorio e una lunga sosta nel limbo, prima di risbucare nel mondo reale a “riveder le stelle”. Puteolano, 25 anni, laureato in Biologia (non a caso, poi capiremo perché), Giovanni Iaccarino ha solo 16 anni quando la malattia, un “linfoma non Hodgkin” particolarmente aggressivo, lo colpisce, lasciando lui e la famiglia nello sgomento. Fino a quel momento la sua vita è quella di tutti gli adolescenti: scuola, pallone, amici, discoteca. Poi gli strani dolori allo stomaco, dopo un allenamento di calcio; l’insistenza di suo padre Enzo, tecnico di fisiopatologia respiratoria al Monaldi, ad approfondire con esami specifici; la corsa in ospedale, quando comprendono che c’è qualcosa di veramente serio.

LA MALATTIA – Da quella prima ecografia del 22 settembre fino al 5 ottobre 2014, giorno della diagnosi al Pascale, tra tac e frenetiche indagini cliniche, Giovanni viene catapultato in un turbinio di spaventose notizie che nessun ragazzo dovrebbe mai ricevere. La malattia è al quarto stadio: non c’è un minuto da perdere. Dopo una settimana inizia la chemio, nel frattempo viene individuato il sottotipo del tumore; a fine ottobre, concluso il primo ciclo, Giovanni sa di avere a che fare con una forma severa di linfoma, da contrastare nel più breve tempo possibile. Al Pascale ci resterà fino al 6 aprile 2015. Verrà dimesso dopo il trapianto autologo, poi cicli di chemio intervallati da qualche giorno a casa, trasfusioni per ristabilire l’emoglobina, continui accertamenti. Non è certamente la quotidiana normalità di un ragazzo della sua età. «Mi mancava il mondo esterno, i contatti con le persone. Da immunodepresso non potevo vedere nessuno. Eppure, nonostante qualche momento di scoraggiamento in cui la mia famiglia mi ha enormemente supportato, restavo ottimista: mi ha aiutato l’incoscienza, la spavalderia, la follia della gioventù». Maturo, introspettivo, serio, Giovanni a volte però sfida la sorte, esponendosi a pericoli come – banalmente – uscire col freddo. «In otto mesi chiuso in casa ho conosciuto me stesso, mi sono ascoltato. Per impegnare il tempo mi sono dedicato allo studio della medicina, a cui mai avrei pensato di interessarmi. Io ero solo un ragazzino che voleva giocare a calcio, la malattia mi ha portato verso mondi che non credevo sarei stato capace di conoscere».

LA LAUREA – E così Giovanni studia, studia. «Dopo la malattia mi sembrava di poter fare qualsiasi cosa: il primo obiettivo era Medicina, il piano b Biologia, perché sono affascinato dalla microbiologia». Infatti è la strada giusta: laurea triennale con lode, poi laurea magistrale con una tesi in Ematologia oncologica. Accede – cosa rara – come tesista al Pascale, proprio lì dove tutto, purtroppo, era nato. Il primario dell’Ematologia oncologica è il dott. Pinto, il medico che lo aveva curato otto anni prima. Nessun favoritismo, anzi, ma alla fine il giovane ex paziente di quel reparto, con la sua borsa di studio, riesce ad entrare nel laboratorio dell’ospedale come ricercatore biologo. Il 17 giugno 2022 firma il contratto per un anno (prorogabile) e si dedica con passione ad attività di diagnostica su pazienti affetti da malattie ematologiche come linfomi e leucemie, indirizzando così i medici verso una corretta terapia. «Siamo fondamentali nell’esordio di malattie che i clinici non sempre riescono ad inquadrare, per giungere a una terapia specifica e individualizzata, così come nel monitoraggio della malattia residua in circolo che una tac o una pet possono non rivelare», riferisce con malcelato orgoglio. Intanto il dottor Iaccarino si abilita, iscrivendosi all’albo gli sarà consentito l’ingresso alla scuola di specializzazione. Step successivo: concorrere per il ruolo di dirigente sanitario. Idee chiarissime, grinta, determinazione, «eppure io – ripete sorridendo – volevo solo fare il calciatore. Invece oggi aiuto le persone affette dal mio male».

L’AMORE – Non è finita qui: c’è infatti un risvolto squisitamente romantico, in questa vicenda dal lieto fine. Proprio grazie alla sua malattia, Giovanni conosce il suo grande amore: Alessandra. «Il 20 ottobre io finivo il primo ciclo, lei si operava per un tumore alla tibia. Ero fiacco, debole, perdevo tempo sui social; per puro caso leggo su Facebook un suo post, vedo che è di Pozzuoli e della mia stessa scuola. Ci incontriamo e da allora si è occupata di me, prima come amica poi (ma solo dopo essere stato sicuro, per correttezza nei suoi confronti, che avrei potuto continuare la relazione) come mia compagna. E’ laureata in un ramo di Scienze politiche e sta completando la Magistrale. Progettiamo la nostra vita assieme».

LA FAMIGLIA – Giovanni quando racconta ha un tono serio: sa quanto hanno sofferto i suoi cari e in qualche modo, pur consapevole di non aver alcuna colpa, non se la “perdona”. Si preoccupa per i genitori, che ancora oggi vivono nell’apprensione, per la sorella minore, che ha vissuto mesi difficili come tutti i parenti, ma soprattutto per il fratellino, che Giovanni spera non sia rimasto traumatizzato da questa brutta esperienza. «Non avrò mai abbastanza parole di ringraziamento per la mia famiglia, gli zii, i nonni materni, che si trasferirono da noi per dare una mano ai miei genitori. In reparto si ricordano di papà perché non mi mollava un attimo. Io però volevo che miei fratelli non accusassero troppo il colpo, così gli imposi di andare a casa da loro. Furono mesi difficili per tutti». E gli amici? «Ci fu una selezione naturale. Non ne faccio una colpa a chi si è allontanato. Erano coetanei, e la mia malattia rappresentava una cosa troppo grande per loro. Altri, invece, anche se abbattuti, non mi hanno mai fatto capire il loro sconforto in mia presenza, standomi vicino con sensibilità e maturità, sacrificando il loro tempo».

FEDE VS SCIENZA? – Nel momento più difficile, il papà Enzo, fervente credente, lo porta con sé nel suo mondo spirituale. «Ne sentivo il bisogno, poi però mi sono allontanato dalla fede. Ho perso due amici, uno era in camera mia. Hanno definito la mia guarigione un miracolo, invece è il risultato del progresso della scienza. Avevo probabilità minime di farcela, il tumore era aggressivo e già al quarto stadio. Ma un medico, il dott. Nando Frigeri, dell’equipe del dott. Pinto, mi disse: “Ho la presunzione di volerti salvare”. Fu come un padre che rassicura e dà buoni consigli; si accorse del mio atteggiamento “duro” e mi esortò a lasciami andare nelle debolezze. Le paure, che io evitavo, mi si sono infatti ripresentate, e con gli interessi, negli anni successivi. Quando cresci, realizzi ciò che hai passato prima, e ciò che sei dopo, coi i limiti e gli acciacchi che ti rendono diverso dai tuoi coetanei: niente calcio a livello agonistico, niente orari assurdi, niente feste in discoteca. Le serate d’inverno le ho pagate con febbre e polmonite. Mi sono ritrovato più fragile, vulnerabile, “diverso”, e solo nel tempo ho compreso che ciò avevo superato non era cosa da poco» E oggi? «Sono realista: il rischio di recidiva è sempre dietro l’angolo, ma il mio percorso universitario e il mio lavoro mi aiutano a convivere con le mie paure. Contribuire ai progressi sulla cura delle malattie mi rende fiero, mi appaga come biologo e rasserena come paziente».

IL PRESENTE E IL FUTURO – Oggi Giovanni conduce una vita normale, senza alcun impedimento. Caparbio, non si è mai voluto arrendere alle limitazioni imposte dalla sua malattia. «Non potevo vivere in una campana di vetro, ho pure ripreso a giocare a calcio e fare attività sportiva», riporta. L’ansia, soprattutto dei genitori, permane: «Mio fratello sta superando ora gli strascichi, mia sorella ha vissuti in prima persona un paio di brutti episodi, e mi spiace tanto. Nessuno ha voglia di rivivere e parlarne, i nostri timori li nascondiamo, ognuno li gestisce come può.. L’affetto e l’unione della mia famiglia mi ha permesso di essere sereno, coccolato, accontentato. Non esistono parole di gratitudine per tutti loro. La vicinanza di mio nonno Bernardo, poi, è stata decisiva: colpito da un carcinoma nel 2013, sapeva esattamente come mi sentivo dopo una chemio o cosa significava non avere capelli, infatti mi inseguiva in casa col cappello per non farmi prender freddo! Mi ha guidato in tutto. Mentre stavo per essere ricoverato per il terzo ciclo, poi, è morto l’altro mio nonno, Giovanni».

IL MESSAGGIO – Giovanni premette che non si permette di dare consigli a chi sta vivendo una situazione simile alla sua. Perché il suo coraggio, sottolinea, «era incoscienza, la reazione dettata dalla spavalderia della gioventù, dalla volontà di vedere una vita davanti, di realizzarsi, anche se i programmi sono cambiati. Va bene avere paura, c’è sempre un modo per convivere con essa. Non deve togliere la forza di sognare e la voglia di vivere, bisogna puntare ad aprire nuove strade, fissare nuovi obiettivi. La malattia non è un capolinea, per me anzi è stato un trampolino di lancio, per crescere e maturare. Ho conosciuto persone e mondi nuovi, ho scoperto l’amore, ho apprezzato ancora di più gli affetti dei miei cari e le cose semplici della vita. Se la mia storia può essere uno spunto per qualcuno – conclude Giovanni Iaccarino -, io sono a disposizione».