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«Mia figlia non può mangiare a scuola perché la mensa non prepara menu differenziati»

«Mia figlia non può mangiare a scuola perché la mensa non prepara menu differenziati»
  • Pubblicato2 Ottobre 2023

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO – «Buongiorno redazione, sono un papà di una bimba di 5 anni che frequenta la scuola dell’infanzia presso il I Circolo didattico nel comune di Pozzuoli. Scrivo questa mail per portare alla luce l’ennesimo caso di discriminazione ed esclusione nell’ambito della scuola. Mia figlia, come altri bambini, per motivi etici non assume prodotti di origine animale, ed ogni anno ci troviamo (come famiglia) a richiedere un menù differenziato alla stregua di altri che per varie ragioni ( allergie, intolleranze) richiedono menu diversi dalla “norma” ovvero menù onnivoro “normale”. Ogni anno con la grande collaborazione dei medici dell’ASL riceviamo il menu senza prodotti animali, adattato sulla stregua del menù dichiarato “normale”. Oggi alla ripartenza della mensa scolastica (effettuata da privati esterni per scuola pubblica) ci viene comunicato con una telefonata che i bimbi non possono mangiare a scuola poiché i pasti “Speciali” non verranno erogati fino a comunicazione diversa e da ricevere in futuro. Quindi come genitore devo accettare, per partito preso, che mia figlia non mangia a scuola per motivi sconosciuti e soprattutto senza sapere quando tornerà a mangiare con i suoi compagni di classe. Intanto la mensa prosegue e bimbi che, per un motivo o per un altro hanno menù particolareggiati, secondo le loro esigenze , restano esclusi. Chiaramente mi precipito a scuola e ottengo un colloquio con una persona responsabile del plesso la quale non riesce a darmi nessuna motivazione sulla discriminazione e ribadisce che la decisione è della mensa. Quindi con una lavata di mani, che farebbe invidia a Ponzio Pilato, cerca di liquidarmi concludendo che in fondo loro eseguono solo gli ordini. A parte la frase davvero poco felice e inopportuna siamo dinanzi ad una caso di razzismo vero e proprio e vi spiego secondo me perché: il pasto dei nostri figli non è un pasto speciale, perchè per assunto, loro hanno solo delle necessità personali sia etiche che di salute che prescindono dalla normalità anzi sono parte integrante della normalità (un bimbo celiaco è normale e non speciale, un bimbo vegetariano è normale e non speciale) gli speciali forse sono gli onnivori che consumano esseri viventi ( ma questo è un altro punto). Quindi parlare di specialità e come parlare di specismo in questo ambito ed è discriminare, è dividere anziché unire, è escludere anziché includere. Se la mensa non può garantire la totalità dei pasti, allora non si parte. I pasti “Speciali” sono comunicati e approvati con largo anticipo quindi non c’è nessuna ragione per escludere questi soggetti. E’ come dire che alla mensa vengono ordinati 100 pasti ma può fornire solo 50 in quel momento. Cosa si fa in questo caso? Si rinvia l’erogazione dei pasti a quando saranno in grado di evaderne 100. Lo stesso è per le varie esigenze e diversità nella scelta alimentare che uniscono, poiché la diversità, non è mistero unisce e crea mentalità aperte. Qui il terzo punto quello fondamentale secondo me: cosa insegniamo ai nostri figli? cosa gli stiamo lasciando? Si perché spiegare al bimbo che non mangia a scuola poiché il suo menù non è uguale agli altri è una sconfitta enorme come genitore e come società, in più questo becero messaggio viene dalla scuola che per antonomasia è il luogo della formazione delle future generazioni e dei futuri cittadini. Proprio la scuola dovrebbe opporsi a decisioni del genere, che generano razzismo, divisione, classismo infatti è inaccettabile che il pubblico esercizio avalli un comportamento così scorretto da un ente privato che con una comunicazione contribuisce a mandare a quel paese gli insegnamenti che cerchiamo di trasferire ai nostri figli. Un dirigente fermo e attento, ma soprattutto senza paura, avrebbe fermato subito questa partenza scriteriata della mensa, ma evidentemente non se n’è neanche accorto o peggio ha avallato la decisone discriminatoria». Un papà.