Close
Primo Piano Quarto

IL CLAN/ Minacce per far ritrattare il pentito: i giudici non credono alla versione “soft”

IL CLAN/ Minacce per far ritrattare il pentito: i giudici non credono alla versione “soft”
  • Pubblicato2 Gennaio 2019

QUARTO – Minacce e danneggiamenti per costringere il “pentito” a ritrattare le sue dichiarazioni. Sono queste le accuse piovute lo scorso anno nei confronti di Antonio Di Maro, 28 anni, ritenuto gravitante attorno al clan Orlando, costola dei Polverino e che ha il proprio raggio d’azione tra Marano, Quarto e altre zone dell’hinterland. L’uomo, colpito da ordinanza custodiale, si è rivolto alla Corte di Cassazione, ma i giudici gli hanno dato torto: l’ordinanza, di fatto, è confermata. Secondo quanto ricostruito dalla Dda di Napoli, più persone – tra le quali o stesso Di Maro – avrebbero minacciato i parenti di un neo-collaboratore di giustizia, Teodoro Giannuzzi, per costringerlo a ritrattare.

GLI ARGOMENTI CONTESTATI – Secondo l’avvocato del 28enne, non sarebbe provata la finalità mafiosa dei reati a lui contestati né ci sarebbe stata la consapevolezza che alcune delle minacce rivolte ad uno dei parenti del pentito avessero il preciso scopo di intimidire il collaboratore. Argomenti, assieme ad altri, che non hanno convinto la Suprema Corte. Determinane, infatti, appare la perfetta coincidenza temporale degli episodi contestati al periodo di inizio e fine della collaborazione con la giustizia da parte di Giannuzzi e cioè il semestre che va dal giugno al dicembre del 2017. In un’occasione,

LE MINACCE – Di Maro avrebbe pronunciato queste parole all’indirizzo di uno dei parenti del collaboratore: «Vi vengo a sparare io dentro casa quando sarà il momento». Spiega la Cassazione: «Infondata è la censura relativa all’insussistenza del concorso del ricorrente nei reati commessi da altri, pacificamente desumibile dalla concatenazione e dalla sequenza degli episodi denunciati, commessi alternativamente da soggetti collegati al ricorrente, autori di minacce collegate sempre alla collaborazione del genero della vittima, che, peraltro, ha dichiarato di aver subito altri attentati con esplosione di petardi nel mese di novembre e di aver riconosciuto in un’occasione l’autovettura in uso al ricorrente».