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Cronaca Primo Piano

POZZUOLI/ Usura nei “600 alloggi” di Monterusciello: 2 condanne e un’assoluzione

POZZUOLI/ Usura nei “600 alloggi” di Monterusciello: 2 condanne e un’assoluzione
  • Pubblicato22 Febbraio 2019

POZZUOLI – Due persone condannate a 3 anni di carcere e una assolta. E’ la sentenza di primo grado emessa dal settimo collegio A del Tribunale di Napoli nei confronti di 3 persone accusate di far parte di una banda di usurai arrestati a Pozzuoli all’alba del 13 dicembre del 2014. Le persone condannate a 3 anni di carcere e a un risarcimento di 9mila euro sono Salvatore Varriale, 33 anni e la moglie Raffaela Corcione, 31 anni, entrambi puteolani. La persona assolta è invece Attilia Iovine, 64 anni, anche lei residente nel quartiere di Monterusciello. I due coniugi, finiti in un altro filone dell’indagine che 5 anni fa portò in carcere 7 persone, non sono mai stati destinatari di misure cautelari. Soddisfazione è stata espressa dall’associazione antiracket e antiusura Sos Impresa (parte civile nel processo), rappresentata dall’avvocato Alessandro Motta, difensore di una delle vittime. Da parte loro Corcione e Varriale, dopo la sentenza di martedì, hanno contattato il nostro giornale professandosi “innocenti ed estranei ai fatti” e annunciando ricorso in Appello.

LA VICENDA – Stando agli atti dell’inchiesta tra le vittime degli usurai c’erano disoccupati, casalinghe e pensionati costretti a chiedere soldi solo per “assicurare un piatto a tavola” ai propri figli o pagare le spese mediche. L’organizzazione era composta in prevalenza da donne, finite in manette in seguito a un’ordinanza di custodia cautelare eseguita dai Carabinieri della Compagnia di Pozzuoli all’epoca dei fatti diretti dai capitani Elio Norino e Gianfranco Galletta. «Mio marito lavora saltuariamente e molte volte non guadagna abbastanza per permetterci di mangiare – raccontò una vittima agli inquirenti – presa dalla disperazione sono costretta a chiedere soldi in prestito». Tra le vittime anche una donna con un figlio disabile, un manovale, un’infermiera e un imprenditore in difficoltà. Le somme, che si aggiravano quasi tutte intorno ai 500 euro, venivano restituite con tassi di interesse del 60%: nella fattispecie attraverso 5 rate da 100 con l’ultima da 150 euro. Somme a cui veniva aggiunto il versamento “a perdere” dei soli interessi mensili qualora la vittima non riusciva a pagare la retta mensile.