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Intervista a Carmine Borrino, talentuoso attore puteolano e vincitore del Premio “Annibale Ruccello”

Intervista a Carmine Borrino, talentuoso attore puteolano e vincitore del Premio “Annibale Ruccello”
  • Pubblicato2 Dicembre 2018
L’attore puteolano Carmine Borrino

POZZUOLI – Tra i vincitori del “Premio Annibale Ruccello”, durante l’acme dello spettacolo organizzato dallo “Stabia Teatro Festival 2018”, c’era anche un talentuoso attore poliedrico puteolano: Carmine Borrino. All’evento sono stati elargiti i premi: Manlio Santanelli, autore versatile e colto, ha ritirato il “Premio alla Drammaturgia” confermandosi una dei personalità più interessanti dell’ambiente; il “Premio alla Carriera” è andato a Bruno Garofalo, storico scenografo di Eduardo, che ha curato indimenticabili set durante il corso di lunghi decenni; “Premio Drammaturgia Emergente” al giovane Carmine Borrino, non solo per il suo totalizzante contributo attoriale, ma anche per la scrittura del testo de “Il bene immobile”; infine il “Premio alla poesia” è stato dato al poeta spagnolo Juan Vincente Piqueras, molto amato e conosciuto in Penisola iberica.

IL TALENTO FLEGREO – L’area flegrea continua ad essere un’enorme fucina per talentuosi e promettenti artisti. Anche Borrino – come Ludovica Nasti de “L’amica geniale” – ha iniziato da giovanissimo prima calcando il palcoscenico teatrale, poi approdando al cinema e in televisione. Durante la consegna del Premio, hai avuto un’elegante critica per il tuo lavoro: ‹‹[…] secondo una tradizione, che risale allo spirito della commedia all’italiana (da Nanny Loy a Lina Wertmuller)››. Cosa hai provato nel riceverlo? Il Premio Annibale Ruccello è un molto prestigioso nell’ambiente teatrale. Tale drammaturgo è uno dei miei punti di riferimento. È stato emozionante perché durante la cerimonia c’erano due monumenti di bravura: Santanelli e Garofalo, che hanno fatto la storia del teatro moderno. Soprattutto quest’ultimo, scenografo di Eduardo l’ho incontrato quando ero ventenne lavorando a “Scugnizzi”. Mi sono sentito orgoglioso di far parte di una famiglia, e di un modo diverso di fare teatro.

La tua carriera inizia a undici anni con Carlo Giuffré nello spettacolo “Miseria e Nobiltà”. Hai lavorato con grandi Maestri dello scenario artistico nostrano come: Renato Carpentieri, Francesco Rosi, Luca De Filippo. Si dice sempre che la gioventù ha perso i suoi Maestri, secondo te la conoscenza si può ancora trasmettere? Ho avuto la fortuna di lavorare con grandi Artisti, anche con l’immenso regista Nekrošius che ci ha lasciato da pochissimo. Sta venendo, purtroppo, a mancare oggi la figura del Maestro ci troviamo di fronte persone con poca esperienza, scuole di teatro aprono senza i requisiti e le conoscenze sul campo giuste. Questa cosa accade pure negli altri ambiti, la figura del “Maestro di Bottega” sta scomparendo e crea una dispersione del sapere. Molte cose non si spiegano, si vedono in teatro.

Hai detto che vieni dalla periferia e da un contesto proletario, e che hai dovuto fare i lavori più disparati e tanti sacrifici per realizzare il tuo sogno. I tuoi genitori non approvavano. Quali sono le letture di cui ti sei nutrito, per evadere dalla tua “periferia esistenziale”? Io sono un lettore pazzo. Per quanto riguarda il teatro sicuramente “Il teatro e il suo doppio” di Antonin Artaud – testo di rifermento straordinario -, ma anche Peter Brook con “Lo spazio vuoto” e “Il punto in movimento”, ed ulteriormente Jacques Copeau  con il suo “Il luogo del teatro”. Tutti questi saggi mi hanno influenzato e fatto pensare ad un teatro diverso. Mentre sono un appassionato di Letteratura americana e adoro i russi come Dostoevskij e Tolstòj. L’ultimo libro che mi ha folgorato è “Paradiso” di José Lezama Lima, scrittore e saggista cubano. Inoltre, Shakespeare è un mio caposaldo insieme a Totò, due geni di due epoche diverse.

Lo psicoanalista Lacan parla di abitare il proprio desiderio nella vita. Tu hai agito secondo il desiderio che ti abita? Assolutamente sì. Più mi guardo dietro più sento nel cuore di aver fatto la cosa giusta nel modo giusto. Con tutti i fallimenti possibili, perché solo rischiando si possono superare i propri limiti.